In effetti è un po’ che non scrivo, ma non è per cattiva volontà, solo tante cose da fare e tanto poco tempo per farle. Cioè, ho sempre pensato di essere una Dea ma evidentemente la mia convinzione deve aver fatto presa anche in giro… eccomi cosi subissata di impegni, a partire da quelli lavorativi che si svolgono in tre luoghi diversi e geograficamente ben distanti tra di loro. Insomma, va bene Dea, ma una e trina proprio no!
In più problemi logistici cari miei lettori… e non solo cambi di residenze, cambi di casa, cambi di lavoro… ma anche un’estate girovaga… Dopo aver trascorso tre mesi viaggiando per Italia ad incontrare tanti di voi e ad ascoltare le vostre storie…
Mesi passati andando su e giù da Milano a Bari, da Roma a Verona, dalla Sicilia al Trentino, dalle Alpi agli Appennini… mesi di chiacchierate allegre e preoccupate, di incontri di corsa e discussioni accese, di passioni che combattono contro muri di gomma e di progetti che si scontrano contro realtà difficili, mesi di grandi eventi e piccole delusioni.
Ed ora eccomi qui, stanca, con i polpastrelli delle dita anchilosati per il tanto battere sulla tastiera del mio fido portatile… tutta l’estate ho lavorato per voi!
Per cosa, vi chiederete… eh beh… ve lo dico nei prossimi giorni… un po’ di suspence non guasta mai… Nel frattempo vi racconto un’altra cosa, mi sfogo un po’ con voi… tanto per alimentare la credenza che “mal comune mezzo gaudio”…
Come non bastassero le mille cose che avevo da fare in giro per il mondo, il mese scorso si è aggiunto all’improvviso anche un impegno domestico.
Una amica mi ha chiesto ospitalità ed io l’ho accolta nel mio nuovo monolocale, dividendo con lei cene, giaciglio e confidenze.
Oddio, in effetti non è che la divisione fosse proprio paritaria, nel senso che mentre delle prime due mi occupavo io, lei provvedeva in abbondanza alle ultime.
Un vero fiume in piena che, manco a dirlo, attendeva a che io provvedessi ad arginarlo, incanalarlo e fornire risposte esaustive, convincenti e tranquillizzanti.
Quando faccio una cosa mi piace farla bene e – diciamoci la verità – le sfide più sono improbe e più sono divertenti… così l’amica ospite – che per la cronaca si chiama Ajla, – era extracomunitaria, mussulmana, delusa dall’impegno politico e in crisi sentimentale. Per fortuna era di recente dimagrita raggiungendo il suo peso forma, così almeno un problema (grosso) era risolto.
Tra le tante particolarità del lavoro dipendente che gli “spiriti liberi” faticano a concepire, c’è quella che brutalmente viene definita come “timbrare il cartellino”; ora, è vero che il mio orario di lavoro è elastico come una corda da bungee jumping, ma a tutto c’è un limite (come affermava la mia prof. di matematica al liceo illustrandoci le funzioni ed il calcolo differenziale…) e se si trascorre la notte tra lacrime e aneddoti sino a salutare il sole che sorge, diventa difficile poi assicurare la mia presenza in ufficio ad un orario decente ed in condizioni di rendimento accettabile.
Certo, la notte porta consiglio e rende tutto più carico di pathos però è anche vero che mentre Ajla alla alba, stremata dal brainstorming si accasciava tra le braccia di Morfeo, a me toccava darci sotto con ombretto e fondotinta per mascherare le occhiaie testimoni delle notti di veglia (e vi assicuro che conosco mille modi differenti per trascorrerle mooolto più piacevolmente…). Manco a dirlo, i tentativi di “regolarizzare” le sedute hanno sortito reazioni tra l’isterico ed il colpevolizzante, mancava solo la frase tipo “io, che per te ho sacrificato i migliori anni della mia vita!” e poi il copione sarebbe stato perfetto.
Inoltre, mentre lei rimaneva a casa a macerarsi nel suo dolore bevendo vino, tenendo il riscaldamento a manetta (boh, magari un ancestrale ricordo della savana in cui vivevano i suoi bis-bis-bis-avoli) e inzuppando il cuscino di calde lacrime, io uscivo – a suo dire – a svagarmi e quindi, già che c’ero, era il caso che facessi anche la spesa per entrambe.
Beh insomma, la situazione l’avete capita, io ho retto due settimane, poi ho cominciato a chiarire le cose con calma, poi le ho ribadite un po’ più fermamente, infine Aisha “Frau Blucher” Proxima ha convinto Ajila che la terapia era finita, che è fondamentale recidere il cordone ombelicale che ci rende dipendenti e che il proverbio che afferma che l’ospite è come il pesce non sottintende tanto che questi abbia branchie e pinne, quanto che dopo una mezza settimana sarebbe il caso che cominciasse a pensare di piantare le tende altrove…