Al Vernissage – Psicologi Allo Scoperto

Checché se ne dica, anche noi psicologi abbiamo una vita sociale.
Certo, tranne rari casi tale vita sociale non comprende nottate danzanti al “Billionaire” o tintarelle su qualche yacht ormeggiato alla fonda a Montecarlo, ma insomma, si fa quel che si può.
La settimana scorsa stavo andando in libreria ad acquistare alcuni testi necessari per il mio… sì, indovinato… aggiornamento, in attesa di qualche fantomatico paziente (a volte mi sento come un soldato nel Forte Bastiani de “Il Deserto dei Tartari” ma non sempre sono così allegra…) e per strada ho incontrato Marisa, una mia vecchia amica che non vedevo da un bel po’.
La prima robusta iniezione di autostima (“Aisha, ma non sei cambiata affatto dopo tanti anni!”) mi ha subito bendisposta nei suoi confronti, ed ho accettato di sconvolgere la mia teutonica tabella di marcia per sedermi al tavolino di un bar e fare quattro chiacchiere con lei.
Gli argomenti li potete immaginare: pettegolezzi su conoscenze comuni dei bei tempi che furono, status quo odierno, programmi futuri, scambio di numeri telefonici, promesse di mantenerci in contatto, varie ed eventuali.
Al momento di salutarci Marisa fruga nella sua borsa e mi consegna un cartoncino colorato, l’invito alla inaugurazione di una mostra di quadri allestita da un suo amico che – lei dice – potrebbe interessarmi. Infilo l’invito tra le candide pagine della mia agenda, raramente segnate da appuntamenti ed impegni e quasi me ne dimentico… Poi però ci ripenso: non che un vernissage sia al top dei miei desideri, ma visto che Brad Pitt ha preferito trascorrere anche questo fine settimana con Angelina Jolie piuttosto che con me, prendo in considerazione la proposta di Marisa per un sabato sera all’insegna della cultura moderna e decido che quasi quasi ci vado.
Arriva il giorno della inaugurazione, mi preparo con la disinvolta maniacalità che solo le donne (per di più psicologhe…) possono riservare alla scelta di accostamenti quali orecchini – collana, scarpe – borsetta, gonna – camicia. Dopo attento esame del mio, per fortuna (?), scarsamente fornito guardaroba, finalmente la mise è decisa, esco di casa e mi reco alla galleria d’arte.
Arrivo con l’opportuno ritardo, il tavolo del buffet mostra evidenti i segni che i presenti non hanno fame solo di cultura, la fauna è varia e variopinta: pseudo-intellettuali che sembrano estrapolati da un film di Truffaut, femme fatale con più silicone di una bambola gonfiabile, giornalisti annoiati e avventori del “c’ero anche io”.
Marisa mi vede arrivare, coglie il mio sguardo indagatore e mi rapisce con un sorriso prendendomi sottobraccio, cominciando le presentazioni di rito con strette di mano e scambi di nomi dimenticati dopo cinque secondi. Tutto procede bene finché la mia improvvida amica, all’ennesimo scambio di convenevoli con un aspirante critico d’arte gracile ed emaciato, con occhi spiritati protetti da una pesante montatura nera e dai modi melliflui e appiccicosi, si fa scappare lo horribile dictu, il segreto da custodire al pari del terzo mistero di Fatima, specie in occasioni come questa… “Perché non vi fate un giro assieme così fate quattro chiacchiere sui quadri? Secondo me avreste molte cose da dirvi…Eppoi sai, Aisha è psicologa… ” E facendogli l’occhiolino, mi molla lì e se ne va, lasciandomi basita e indifesa.
Il suo amico mi fissa, pare percorso da un fremito ed un lampo brilla nei suoi occhi al pari di un gatto che ha appena scoperto la tana del topolino… Mi sembra addirittura di intravedere un suo breve sorriso sbilenco, dal sapore lievemente sadico… Io, per dirla alla Battisti, “ho visto la mia fine sul suo viso” ma oramai era troppo tardi per dissolvermi nel vento e poco opportuno morire in quel momento. Non potevo nemmeno negare gridando disperata: “No… no! Marisa ha forse mal compreso! Io sono solo una umile amministrativa con un diploma biennale di counseling aziendale nemmeno riconosciuto dal Miur! Marisa…. vieni qui… Marisaaaaa!”. Ho invece dovuto rassegnarmi al destino che il Fato cinico e baro mi aveva preparato.
Certo, dalla mia avevo il fatto che lui si chiamava Gondrano, nome che gli chiesi di ripetere due volte perché credevo di averlo capito male e che scoprii essere quello di un attore degli anni ’50  che l’emulo di Achille Bonito Oliva mi confessò essere la passione proibita di sua madre  (poi magari un giorno o l’altro parleremo anche dell’influsso che nomi del genere hanno su di chi se li ritrova affibbiati…). Questo, unito all’aspetto decisamente dimesso del mio nuovo accompagnatore, contribuì a convincermi non poco che un incontro simile non poteva che essere voluto da una Volontà Superiore che evidentemente quel sabato sera voleva divertirsi guardando una sit-com che aveva me e coso… lì… Gondrano come protagonisti.
Come avrete forse immaginato dal mio bel tacer in merito, i quadri lì presentati non erano certo bucolici paesaggi alla Fattori…

… né tantomeno sinuosi ritratti alla Botero…

 

…quanto piuttosto composizioni astratte che probabilmente si ispiravano, con risultati a dir poco… ahem… controversi, ad  uno stile frittomisto tra il Klee più cupo

 

 

 

… e il Mondrian più enigmatico.

Ebbene, mentre passeggiavamo tra le crost… tele, sapevo che “quella domanda” prima o poi sarebbe arrivata, mi chiedevo solo quanto tempo ci avrebbe messo Gondrano per formularla. Non dovetti attendere molto in effetti, al secondo quadro il mio ceruleo accompagnatore si voltò verso di me e scoccò: “Tu che sei psicologa… Ma secondo te, con questo quadro, l’artista cosa voleva comunicare?”

Repressi l’impulso di rispondere “che assumere mescalina e peperoni arrosto la sera tardi prima di andare a letto può indurre allucinazioni tratte dall’ispirazione degli intensi momenti gastrici vissuti in quegli attimi” e traccheggiai cercando di esprimere la stessa opinione che il Ragionier  Fantozzi aveva de “La Corazzata Potemkin”  in termini meno coprolalici (sono pur sempre una aggraziata e dolce fanciulla!).

Ora, va bene che una delle maledizioni insite nella somministrazione del test di Rorschach è che la gente crede che noi si sia capaci di vedere chissà quali reconditi significati anche in immagini che ai più suggeriscono una idea univoca…

 … vero che c’è chi ha costruito la propria fortuna di critico commentando con intricati elucubrazioni le opere di Lucio Fontana

Pietro Manzoni - Merda d'artista

… o di Pietro Manzoni

però porca miseria ragazzi… a tutto c’è un limite!

“Se non puoi combatterli, fatteli amici; se non vuoi farteli amici, confondili”, diceva un grande stratega. Ed io decisi di seguire l’ultimo suggerimento: mi lanciai in un profluvio di “estrinsecazioni dell’Io interiore”, “dicotomia tra resistenza ed arrendevolezza, trasgressione e conformismo”, “endogenesi spiraliforme di un vissuto che mostra una crasi tra fase anale e fase orale” e via dicendo.
Gondrano assentiva e sospetto prendesse mentalmente appunti; io subdolamente procedevo tra le tele dirigendomi verso le dilaniate spoglie del buffet oramai più vuoto del mio portafogli. Ad un tratto mi voltai leggiadramente verso il mio interlocutore e sbattendo innocentemente le mie folte ciglia mascarate gli chiesi se riusciva a trovarmi qualcosa da bere, poiché ero davvero assetata. Lui partì con una determinazione pari a quella di Sir Lancelot alla cerca del Graal e io ne approfittai per dileguarmi nella notte, già pregustando il piacere di spaparanzarmi sul mio divano in mutande a gustarmi le repliche di “Grey’s anatomy” nella cui protagonista, manco a dirlo, un po’ mi ritrovo…

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One thought on “Al Vernissage – Psicologi Allo Scoperto

  1. Erica

    Cara Aisha.. leggendo questo divertentissimo post mi sono ricordata del luccichio che ha attraversato lo sguardo di una cassiera (avete presente quando Mimi Ayuara si apprestava a fare la schiacciata “goccia di ciclone” e le apparivano le stelline sul lato destro della pupilla?) mentre mi diceva:”Che bello..fai la psicologa..sono sempre stata curiosa di sapere chi ero in una vita passata!”
    Aiuto!!Qualcuno ci salvi dalla disinformazione…

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